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Dossier Case

sabato 9 gennaio 2010, di Luca Salici

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La signora Carmelina come ogni giorno si affaccia dal balcone del quinto piano in viale Castagnola, a Librino, prende il cesto di vimini e con una cordicella lo abbassa nel cortile interno del palazzo. Il garzone afferra il panaro, raccoglie la banconota da cinque euro e mette dentro al cestino un chilo di pomodori, due lattughe, il pane e una confezione di uova. “Ci sono pure cinquanta centesimi di mancia per te. Sono dentro al panaro”, urla la signora dal balcone. “Grazie signora! Buona giornata!”. Il cestino viene sollevato e riposto sul balcone in attesa di un’altra piccola spesa veloce l’indomani. Carmelina fa questa vita da quindici anni. Non esce quasi mai da casa. Capita rarissime volte e avviene solo se rimane un parente fidato a casa, a fare la guardia. Suo nipote, muratore, che arriva a stento a pagare l’affitto dopo mille rinunce, spesso le dice, quando rimane a vigilare in casa della nonna: “Non sono più gli anni ’80, quando le case popolari si occupavano abusivamente!”. “Questa casa è mia, e voglio morire qui dentro”, risponde la donna, come una continua litania.

Eppure siamo nel 2010 e di queste storie ne potremmo raccontare tantissime. Ne troverete sfogliando questo dossier dedicato al disagio abitativo. Perché a Catania, nel nuovo decennio degli anni duemila, c’è chi ancora lotta per tenersi stretto un appartamento che gli spetta di diritto, c’è chi vive in condizioni disagiate ma ringrazia Dio di avere un tetto sopra la testa. E pazienza se conviviamo con i topi. Ci sono i catanesi, quelli della media borghesia, che si accollano mutui decennali che non riescono più a pagare. Poi ci sono quelli che si spostano verso le periferie, dove si costruiscono nuove case ogni anno, abbandonando le abitazioni del centro storico. Abitazioni comunque insufficienti per dare ospitalità a tutti i nuovi arrivati ai piedi dell’Etna: ci sono quasi 20.000 studenti fuorisede che frequentano l’università, ci sono un numero imprecisato di immigrati. Cinesi, cingalesi e soprattutto senegalesi. Vivono in case fatiscenti, molto spesso dividono spazi piccolissimi e stanno in tre o quattro in una stanza. Perché anche in via delle Finanze, anche in spazi degradati e luridi, il 5 di ogni mese passa il padrone di casa per incassare il canone d’affitto.

A Librino abita un catanese su cinque, ma resta quartiere dormitorio senza servizi. Trovate solo dei panifici, supermercati, una pizzeria, qualche macellaio di carne di cavallo e tanti parrucchieri. Sì ma il lavoro dov’è? Se lo cerchi forse a Catania, magari alla fiera, al mercato ortofrutticolo. Ma sempre se hai le conoscenze giuste e sai benissimo chi votare il giorno delle elezioni.

Nelle pagine del dossier leggerete tanti numeri. Cifre e dati che farebbero voglia di gridare all’emergenza. Questa parola, “emergenza” però, oggi abusata, non renderebbe giustizia alla situazione in cui versano tante famiglie catanesi. E’ una questione di reddito principalmente:le case ci sarebbero per tutti, ma il prezzo da pagare è troppo alto. Non è un caso che lo scorso anno un terzo degli sfratti in Sicilia siano avvenuti alle pendici del vulcano. Tra gli spazi sotto sfratto per morosità c’è anche l’Ufficio casa di Catania. Questo la dice davvero lunga.

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