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Pio La Torre una storia italiana

Intervista al giornalista Giuseppe Bascietto autore del libro che racconta la storia del segretario siciliano del Pci, ucciso insieme a Rosario De Salvo da cosa nostra il 30 aprile 1982

giovedì 30 aprile 2009

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Il 30 aprile 1982 un agguato mafioso
metteva bruscamente fine alla vita di
Pio La Torre. Una vita, la sua, tutta
spesa nella lotta alla mafia, combattuta
tanto sul piano civile quanto su quello
politico: a lui si deve infatti la legge che
introduce nel codice penale il reato di associazione
mafiosa. Ne parliamo con Giuseppe
Bascietto, autore - insieme a Claudio
Camarca - del libro “Pio La Torre.
Una storia italiana”, pubblicato nel 2008.

L’anniversario dell’omicidio di Pio La
Torre può essere un’occasione per riflettere
sulla sua figura. Cosa possiamo
dire oggi di quest’uomo?

“Riflettere sulla figura di Pio La Torre è
innanzitututto un’occasione per ripensare
a quello che la politica dovrebbe essere e
non è. Passione, dedizione, servizio: sono
queste la caratteristiche del modo di concepire
e vivere l’impegno politico di La
Torre. Oggi tutto questo manca, siamo di
fronte a un mondo politico che punta più
sull’immagine che sulla sostanza, più sulle
strategie mediatiche che sul lavoro quotidiano,
prioritario per La Torre.”

Alla Camera dei Deputati è stata apposta
una targa in ricordo di Pio La Torre:
può essere considerato come un segnale
del mondo politico?

“E’ senz’altro un segnale importante, anche
se arriva molto in ritardo. Il senso di
questa targa è da ricercarsi nel messaggio
che essa lancia a tutti i deputati, quasi volesse
indicare loro che c’è stato un membro
dell’aula dove oggi siedono che è stato
ucciso dalla mafia; un collega cui si deve
la legge grazie alla quale è stato possibile
ai giudici mettere alla sbarra i mafiosi mediante
l’introduzione del reato di associazione
mafiosa. Si tratta dunque di un segnale
forte di legalità, che speriamo venga
recepito come tale dai deputati.”

Quale bilancio possiamo tracciare di
questi ventisette anni per quel che riguarda
la lotta alla mafia?

“Un bilancio non può non tenere conto
del fatto che gli ultimi ventisette anni
sono stati contraddistinti da una sequela
di stragi, a cominciare dal generale Dalla
Chiesa per finire a Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino, per i quali furono fatti
saltare in aria un pezzo d’autostrada e un
intero quartiere di Palermo. Dal punto di
vista della lotta alla mafia bisogna dire
che si è proceduto ‘a fisarmonica’: solo in
seguito a stragi eclatanti che hanno scosso
profondamente l’opinione pubblica ci
sono state inchieste e arresti. Sono stati
catturati e condannati Riina e Provenzano
(cui nel 2007 è stato comminato l’ergastolo,
insieme a Brusca, Calò e Geraci,
quali mandanti dell’omicidio di Pio La
Torre, ndr), ma sono ancora a piede libero
sia Matteo Messina Denaro sia Lo Piccolo
e i suoi affiliati. Molto è ancora da fare,
tanto sul piano della lotta alla criminalità
organizzata, al braccio armato della mafia,
quanto su quello della collusione con
la politica. Quel che è emerso in questi
ventisette anni è l’intrecciarsi di rapporti
sempre più stretti fra le cupole mafiose e
i loro referenti politici, al punto che ormai
la mafia elegge i suoi deputati senza più
bisogno di mediatori. E sono gli stessi politici
a non fare mistero delle loro collusioni:
esemplare in questo senso è il caso di
Totò Cuffaro, per il quale è venuto meno il
concorso esterno in associazione mafiosa,
ma continua a sostenete apertamente Michele
Ajello.”

E’ di ieri la notizia delle dimissioni del
sindaco di Castel Volturno: un brutto
segnale per l’antimafia?

“Quando un sindaco decide di mollare,
bisogna comprendere quali siano i reali
motivi che l’hanno indotto a tanto e se e in
quale misura le dimissioni siano imputabili
alle pressioni politiche che ne ostacolavano
il percorso nell’amministrazione.
E’ comunque un brutto segnale, che deve
far riflettere.”

da veritàegiustizia, Newsletter di LiberaInformazione n.ro 29




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