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Giuseppe Fava

domenica 11 gennaio 2009, di Cristina Perrotta

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Chi ha scelto di lottare la mafia in Sicilia, quando lo ha fatto con convinzione e cognizione, lo ha spesso visto diventare un lavoro a tempo pieno, quasi una missione. “A che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?” diceva Giuseppe Fava e di coraggio per stare a viso scoperto doveva averne tanto, perché per dire la verità dovette affrontare grandi difficoltà e pericoli.

Giuseppe Fava in Sicilia c’è nato e cresciuto, a Palazzolo Acreide per l’esattezza, e nella stessa Sicilia che amava e raccontava nei suoi scritti, negli articoli, nelle sceneggiature c’è morto. Ammazzato dalla mafia. Era il 5 gennaio 1984, ma la condanna definitiva per i membri del clan dei Santapaola che parteciparono all’omicidio è arrivata con quasi 20 anni di ritardo, nel 2003.

Di lui su Wikipedia si legge: “Fu un personaggio carismatico, apprezzato dai propri collaboratori per la professionalità e il modo di vivere semplice. È stato direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, secondo giornale antimafia in Sicilia; il film Palermo or Wolfsburg, di cui ha curato la sceneggiatura, ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino 1980. È stato il secondo intellettuale ucciso da Cosa nostra dopo Giuseppe Impastato (9 maggio 1978)”. Un intellettuale di rango, dunque, considerato dal nostro direttore, Riccardo Orioles, una delle massime espressioni della letteratura italiana in Sicilia, un modello di giornalismo da seguire e diffondere negli anni, un amico.

Il mensile I Siciliani, uscito per la prima volta nel novembre del 1982, ha proposto nel tempo delle inchieste entrate a far parte della storia del giornalismo italiano e dei pezzi firmati da Fava che ancora oggi risuonano assolutamente attuali. Gli attacchi alla presenza delle basi missilistiche in Sicilia, la denuncia continua della presenza della mafia, le piccole storie di ordinaria delinquenza… non è dunque cambiato nulla da allora? “L’omicidio di Giuseppe Fava – si legge ancora su Wikipedia - non impedì alla sua rivista, I Siciliani, di continuare ad uscire. La redazione il giorno dopo la sua morte riaprì. Anzi, la sua morte servì a trovare nuova gente che collaborasse. Per tre anni la rivista portò avanti la sua campagna antimafia, malgrado le crescenti difficoltà, e contribuì ad animare varie manifestazioni a cui partecipavano persone di qualsiasi schieramento politico”

Venticinque anni dopo la sua morte siamo in tanti a ricordarne il valore, rimpiangerne la collaborazione. Il giorno del suo funerale la piccola chiesa di Santa Maria della Guardia in Ognina, bastò a contenere la gente venuta a salutarlo. Oggi, probabilmente, non basterebbe il Duomo di Catania. Qualcosa, dunque, è cambiato…




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